Notizia pubblicata il 06/03/2015, letta 12263 volte

LA STORIA: CAPACCIO, IL CARPENTIERE DAI PIEDI D'ORO


L'assegno in bianco del Castel Rigone, la cena con Cucinelli, il viaggio a Cuba pagato dal San Sisto, le troppe squalifiche, lo schiaffo di Leombruni e i rimpianti legati alla Lazio e al Perugia. L'ex numero 10, appesi gli scarpini al chiodo, si racconta

FONTE IL GIORNALE DELL'UMBRIA
Venerdì 6 marzo 2015
di Nicola Agostini

Una mattinata di quelle gelide con un vento che porta via. «Oggi niente cantiere. Si torna a casa». L’occasione giusta per due chiacchiere con Gigi Capaccio, il numero 10 che ha fatto più parlare di sé in giro per i campi dilettantistici umbri negli ultimi 15 anni. «Se sono stato il migliore non lo so. So solo che senza 10 io non scendevo in campo». Eccolo qua, Gigi genio e sregolatezza, entrambe in egual misura, tanto da farne un incredibile talento mancato.
IL TRENO PASSA E CHI NON SALE... - «Ne parlavamo qualche sera fa dopo una partita a calcetto con gli amici che mi dicevano: “Gigi, ma con questi piedi come hai fatto a non fare il calciatore?”.». La domanda che un po’ tutti si fanno alla quale Capaccio ha trovato risposta solo una volta appesi gli scarpini al chiodo: «Se avessi iniziato a giocare adesso, a 36 anni, probabilmente qualcosa di più avrei potuto fare. Ma io ho solo due rimpianti. Il primo a 12 anni quando Walter Sabatini mi selezionò dopo un provino alla Lazio. Mi avevano preso. Ma io a Roma in collegio non volevo starci. Il mio papà portava giù i miei cuginetti due volte a settimana per non farmi sentire solo. Ma quando ripartivano io rincorrevo la macchina fino al cancello del collegio e poi mi mettevo a piangere. Dopo un mese papà mi ha riportato a casa. A 17 anni e mezzo invece mi prese il Perugia per la Primavera. Era tutto fatto, dovevo solo firmare. Era agosto. Poi ebbi un incidente con il motorino: frattura della rotula, nove mesi di stop e addio Perugia». Era il 1997 e il buon Gigi ripartì da San Sisto, dove aveva iniziato appena arrivato a Perugia da Napoli. «La scuola calcio? Io l’ho fatta per strada...».
IL PALMARES - «Si fa presto a dire quello che ho vinto: quattro campionati, due di Prima, uno di Promozione e uno di Seconda e un Torneo delle Regioni, segnando in tutto più di 100 gol. In fondo ho giocato con San Sisto, Castel Rigone, Nocera, Ellera, Pila e Castiglionese». Poco, troppo poco, per uno che a 15 anni e mezzo era già titolare in Eccellenza. «Mi fece debuttare Flamini a San Sisto. Dopo un paio di domeniche feci subito gol: a Deruta su punizione. Vincemmo 1-0. Il mister è un grande. Mi riempiva di scappellotti durante l’allenamento. Mi diceva: “Forza Gigi, fai come ti dico io che poi ti faccio calciare le punizioni”. Ma il peggior schiaffo di sempre me lo diede un mio compagno: Michele Leombruni. Ero stato un paio di mesi senza andare al campo. Quando tornai non mi disse neanche “ciao”, mi rifilò solo uno sganassone da paura davanti a tutti. Che volete farci, non capivo».
IL GIORNO PIU’ BRUTTO - 28 maggio 2000. «Lì è cambiata la mia vita con la scomparsa di papà. Mi voleva il Gubbio in C2 ma mi davano 1300 euro al mese quando io, facendo il carpentiere, ne guadagnavo 2mila. Con me vivevano mia mamma e mio fratello. Non me la sono sentita. Meglio continuare a giocare fra i dilettanti e lavorare nei cantieri».
L’ABBONAMENTO AL ROSSO - A San Sisto Capaccio diventa un’istituzione nonostante le tante, troppe, squalifiche: «Una volta ci dettero un rigore al 90’ ma il guardalinee aveva segnalato un fuorigioco su un retropassaggio del difensore. Protestai e mi feci buttare fuori. Sul dischetto andò Gigi Caproni e segnò. Ancora ci ridiamo: “Sei l’unico che riesce a farsi buttare fuori dopo un rigore a favore”. O quella volta che tirai le scarpette al tifoso della Pontevecchio. Stava insultando mio zio e la mia cuginetta. Non ci ho visto più. Ripensandoci adesso però ho sbagliato tante, troppe volte».
L’ASSEGNO IN  BIANCO - Nell’estate del 2004 il San Sisto vuole costruire una squadra per puntare alla serie D. E decide di ripartire da lui, con tanto di viaggio a Cuba come regalo. «Al ritorno da Cuba però - sorride Gigi - mi vennero a trovare Marco Scarpelloni e Francesco Martinelli e mi dissero: “Brunello (Cucinelli ndr) ti vorrebbe a Castel Rigone. Ci ha dato questo assegno per te”. Era in bianco. Rimasi a bocca aperta. Come andò a finire? Riportai i soldi del viaggio al San Sisto e dissì sì al Castel Rigone. A che cifra? La feci mettere a loro...».
IL PREMIO DOPO LA SCONFITTA E LA CENA LUNGA... - «Come ripeteva sempre Michele Riberti: “Dopo che hai giocato a Castel Rigone non troverai più niente di simile”. Vi dico solo questa: una domenica a Campitello perdemmo 3-0 con una squadra zeppa di fuoriquota. Brunello si presentò negli spogliatoi e consegnò a Persichetti 3mila euro dicendogli: “Oggi, ragazzi, avete dato tutto. Dividetevi questo premio”. A quel punto mi alzai e gli dissi: “Brunello, ma se vuoi domenica perdiamo 6-0 così magari diventano 6mila...».
Sono veramente felice di aver conosciuto un personaggio unico. «Una volta l’ho invitato a cena a casa mia. Vivevo ad Agello con il mio coinquilino. Non pensavo sarebbe venuto e invece si presentò con due bottiglie di prosecco, dieci bottiglie di Brunello di Montalcino, formaggi, affettati, pasta, dolci. Ci andammo avanti due mesi poi il mio coinquilino mi disse: “Ma non sarà ora di rinvitare Cucinelli a cena?».
ALLENATORI SPECIALI - «Di Flamini ho detto. Tuttora ho un bel rapporto con Sandro Crivelli, ci sentiamo sempre per gli auguri. Con Francesco Martinelli poi ho un rapporto speciale che va al di là del calcio, resta il più pazzo di tutti. Una volta a Bastia ero in panchina perché mi si era infilato un chiodo in un piede lavorando. Ero zoppo in pratica. Punizione dal limite per noi a 20 minuti dalla fine. Francesco chiama l’arbitro e inizia a urlare: “Cambio, cambio. Entra Gigi”. “Mister ma io sono zoppo”. “Non ti preoccupare, intanto entra e segna”. Palla all’incrocio e gol. Mi ricordo ancora le imprecazioni di Tobia sulla panchina del Bastia. Poi però pareggiarono, anche perché io ero fermo...».
UNA FAMIGLIA NEL RETTANGOLO VERDE - Tre esperienze a Nocera, Pila e Ellera nel dopo Castel Rigone per Capaccio prima dell’approdo alla Castiglionese. «Lì ho trovato davvero una famiglia. Anni bellissimi, con due campionati vinti e una salvezza in Promozione che vale come un campionato vinto. Con il mio amico Roberto Villan da capitano e un gruppo di giocatori e dirigenti meraviglioso».
IL GIGI DI OGGI - «Nel fine settimana, senza calcio giocato, ho più tempo per stare con mio figlio Nicola. Ormai ha 5 anni e mezzo. Calcia bene con tutti e due i piedi ma voglio che provi tutti gli sport. Ora sto pensando al judo. Poi sarà lui a decidere. E ho modo di andare al Curi a tifare Perugia. Ho fatto anche quattro o cinque trasferte. Spero che arrivi ai playoff e comunque mi piace come gioca. Ma Taddei che l’hanno comprato a fare?».
I PIU’ FORTI - «Da avversario mi ha impressionato Schenardi. Come compagni invece Baciocchi e Tresoldi a Nocera erano proprio forti. Ma il numero uno ce l’aveva il San Sisto: Matteo Frenguelli avrebbe potuto davvero fare il giocatore. Aveva solo un problema. Faceva più serate di me. Il che era tutto dire...».
IL SOGNO NEL CASSETTO - «Proprio con Matteo, Roberto (Villan ndr) e l’ex presidente del San Sisto Marcello Rossi ci siamo visti da poco a cena. Marcello per me è stato un secondo padre. E parlando ho pensato ad un altro rimpianto: io non ho mai giocato al Curi. Una partita d’addio con gol sotto la Nord non sarebbe male. Intanto ho promesso a Roberto che quest’anno al Torneo dei Pini, a San Sisto, sarà in squadra con me. Da quando non giochiamo più insieme non vince più... Al Curi però vorrei in campo anche Brunello. Quando si allenava con noi a Castel Rigone non gli ho mai fatto un tunnel, per rispetto e perché sapevo mi avrebbe steso. Ormai tanto ho smesso posso prendermi anche una bella randellata. Poi tutti a cena a casa mia. Come ai vecchi tempi...».

Nella foto, da sinistra Brunello Cucinelli e Gigi Capaccio e un primo piano di Capaccio